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Turchia: quale regia dietro l’omicidio di Tahir Elçi?

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L’hanno ucciso durante una conferenza stampa a Diyarbakir, città del sud est della Turchia a maggioranza curda. Tahir Elçi, presidente dell’associazione degli avvocati di Diyarbakir e storico attivista per i diritti umani e civili, era sceso in piazza nel quartiere di Sur per condannare l’attacco di pochi giorni prima nella storica cittadella patrimonio dell’Unesco e per chiedere la fine delle ostilità tra le forze governative turche e i combattenti curdi del PKK. “Non vogliamo più  armi, scontri e operazioni militari in quest’area” sono state le sue ultime parole davanti ai giornalisti presenti, prima di essere colpito a morte insieme a due agenti di polizia dai colpi di arma da fuoco sparati da alcuni aggressori ancora ignoti.

Ed è proprio sulla dinamica, al momento ancora poco chiara nonostante un video circolato immediatamente dopo, che si inasprisce lo scontro tra curdi e turchi. Selahattin Demirtas, leader dell’HDP, il Partito Democratico dei Popoli, ha parlato di “delitto politico”.  Dello stesso avviso sono i colleghi di Elçi, che per voce dell’avvocato Pinar Akdemir spiegano: “È un dato di fatto che gli anni che stiamo attraversando sono peggiori degli anni Novanta, soprattutto se guardiamo a quello che stava facendo Tahir Elçi. Il trattamento che gli è stato riservato dopo aver reso pubbliche alcune sue posizioni ci dice chi sono i suoi reali assassini”. Il riferimento è ai fatti dello scorso mese, quando il leader dell’associazione degli avvocati di Diyarbakir era stato prima arrestato e poi rilasciato per “apologia di terrorismo”, dopo che durante un intervento in una trasmissione televisiva aveva sostenuto di comprendere il “seguito popolare” del Pkk e di non considerare il partito dei lavoratori del Kurdistan un’organizzazione di terroristi.

Di tutt’altra, opposta, interpretazione è invece la versione governativa che attribuisce la responsabilità dell’attacco a dei terroristi, facendo solo intendere una complicità proprio del Pkk, pur non citandolo. Linea ribadita dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan che ha minimizzato l’accaduto parlando addirittura di incidente e tragica casualità, cogliendo poi l’occasione per ribadire a gran voce la necessità di combattere in maniera determinata il terrorismo.

Dichiarazioni queste ultime che per le opposizioni rappresentano una chiara ammissione di colpa per quello che denunciano come un omicidio premeditato e di regime. In un comunicato il Consiglio esecutivo del Congresso nazionale del Kurdistan (KNK) non ha usato mezzi termini per descrivere quanto successo: “Siamo abituati a questo tipo di attacchi. Fino ad ora migliaia di politici curdi sono stati assassinati nello stesso modo dalle stesse forze oscure. Conosciamo i responsabili, i responsabili sono coloro i quali non potevano sopportare le posizioni di Tahir Elci, la sua lotta e la sua personalità. I responsabili sono il governo dell’AKP e le altre forze oscure che hanno già massacrato migliaia di politici e attivisti curdi! Nessuno deve cercare colpevoli altrove!

In una lettera  aperta ai leader UE inviata da Can Dundar ed Erdem Gul, rispettivamente direttore e caporeddatore del quotidiano di opposizione Cumhuriyet, detenuti nel carcere di Silivri di Istanbul con l’accusa di spionaggio e propaganda terroristica e sui quali pende una richiesta di ergastolo – per un articolo in cui denunciarono con alcune immagini un possibile passaggio di armi dalla Turchia alla Siria a bordo di veicoli scortati dai servizi segreti turchi e diretti ai gruppi islamisti – i due giornalisti hanno chiesto all’Europa di non chiudere gli occhi sulle “pratiche che violano i diritti umani e la libertà di stampa in Turchia” in cambio di un accordo sulla crisi migratoria.

La Turchia di Erdogan è uno dei paesi al mondo con il più alto numero di giornalisti in carcere e di reporter perseguitati, colpevoli di non essere allineati con l’informazione di regime, soprattutto quando si tratta di argomenti che hanno a che fare con l’azione più o meno trasparente della politica estera turca, in particolare in Siria e nelle zone di confine ad alta densità curda, dove le voci di un probabile sostegno ombra alle forze di Daesh non sembrano essere più essere soltanto voci.

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Angelo Motola
Angelo Motola

Analista delle politiche d’immigrazione, dal 2012 collabora come ricercatore con l’Istituto di Ricerche Internazionale Archivio Disarmo (IRIAD)

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