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Romania: il governo ci riprova e si riaccendono le proteste anti-corruzione.

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Non si placano le proteste in Romania. Con l’inzio di maggio un migliaio di persone sono scese nuovamente in piazza per contestare l’esecutivo, a seguito del voto della Commissione Giustizia al Senato che ha approvato un emendamento favorevole all’introduzione della grazia per i condannati in via definitiva per reati di corruzione, quali abuso d’ufficio e tangenti. A tre mesi dall’inizio della grande mobilitazione di massa che ha portato in piazza centinaia di migliaia di cittadini rumeni per protestare contro la “corruzione legalizzata” propugnata dal governo guidato da Sorin Grindeanu, l’esecutivo sembra volerci riprovare.

Ci aveva tentato una prima volta, ad appena un mese dal suo insediamento, emanando un decreto di depenalizzazione dei reati di corruzione e di abuso d’ufficio per quei casi di illecito al di sotto della soglia economica di 44.000 euro, l’equivalente di circa 7 volte tanto il salario medio annuale percepito in Romania. La decisione presa di tutta fretta nel mezzo di una riunione notturna, mai annunciata all’ordine del giorno, è stata poi ritirata nelle settimane successive a fronte del dilagare delle proteste in tutto il Paese e degli avvertimenti giunti dal Presidente Iohannis, così come dalla comunità internazionale, in particolare dall’UE e dagli Stati Uniti.

Sebbene l’intenzione dichiarata dal governo fosse ufficialmente quella di diminuire l’impatto delle pene sul sistema delle carceri sovraffollate, è del tutto evidente come di un provvedimento del genere avrebbero usufruito innanzitutto alcuni importanti politici, funzionari e uomini d’affari. Si parla di circa 2.500 beneficiari, tra coloro attualmente sotto processo o già condannati con pene inferiori ai cinque anni per reati di corruzione.

Quel decreto, che avrebbe avuto il duplice effetto legalizzare gli abusi della classe dirigente e di ridicolizzare la lotta contro la corruzione, potrebbe ora tornare ad avere effetto sotto una forma diversa, questa volta caldeggiata attraverso iniziative parlamentari – “democraticamente” consentite – mosse da una maggioranza silenziosa che, complice un’opposizione praticamente inesistente, non ha mai smesso di operare alla reintroduzione degli obiettivi previsti dal decreto. Se con le proteste di massa dello scorso febbraio il governo sembrava essere uscito indebolito dal suo stesso ripensamento e dalla perdita di consenso nazionale ed internazionale, oggi il panorama è tornato ad essere quello di inizio anno, con il nuovo esecutivo che punta a recuperare terreno, ad imporre il suo rafforzamento e a sfidare apertamente UE e opinione pubblica.

Ed è proprio da quest’ultima che ci si aspetta una reazione uguale o addirittura superiore a quella vista lo scorso febbraio, quando centinaia di migliaia di persone scese in Piata Victoriei, sede del governo, illuminavano la notte con la luce dei loro telefoni cellulari.

Quelle immagini hanno fatto il giro del mondo e i media mainstream ribattezzarono la protesta col nome di “smarthphone revolution”, descrivendola come la più grande contestazione di massa dai tempi della resa di Ceausescu, nel 1989. Inizialmente nato come un movimento sui social media (Facebook su tutti), senza rivendicazioni politiche ideologiche, guidato per lo più dai giovani, il suo seguito è andato crescendo col passare delle settimane per via di una forte capacità attrattiva prodotta in larga parte della popolazione, così come in alcuni partiti di opposizione, che dalla protesta cercavano di cogliere un vantaggio politico. La mobilitazione ha dimostrato uno stile di attivazione davvero eccezionale per rapidità di organizzazione, consenso e capacità di pressione, portando in poco tempo al raggiungimento (temporaneo) dell’obbiettivo prefissato, ossia il ritiro del decreto.

Quello che la stampa internazionale non è stata in grado di raccontare sono state le azioni che hanno favorito il crescere della consapevolezza nell’opinione pubblica riguardo quanto stava accadendo. Il riferimento è al lavoro svolto sotto traccia da giornalisti e sindacati, che prima di altri avevano portato all’attenzione i casi di corruzione e di abusi compiuti da politici e funzionari, organizzando occasioni di dibattito e di protesta del tutto ignorati dai media e dallo stesso Presidente rumeno, gli stessi che oggi sostengono la mobilitazione di massa.

Se in generale il movimento di protesta risulti appoggiato da più parti – esecutivo escluso – c’è anche chi ha professato particolari dubbi sulla vera natura della mobilitazione. Tra questi c’è Mircea Dinescu, famoso poeta ed attivista rumeno, conosciuto in particolare come l’uomo che annunciò in tv la fine della dittatura di Ceausescu. In un’intervista rilasciata al tedesco Spiegel, si è detto critico non vedendo alcuna analogia tra questa protesta e la rivoluzione del 1989, definendo la mobilitazione attuale come un “social tsunami” portato avanti da una generazione politicamente aggressiva di “giovani lupi“.

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Angelo Motola
Angelo Motola

Analista delle politiche d’immigrazione, dal 2012 collabora come ricercatore con l’Istituto di Ricerche Internazionale Archivio Disarmo (IRIAD)

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