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L’esempio di “ Barcelona città rifugio ” che l’Europa dovrebbe sostenere

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We, the cities of Europe”. Noi, le città d’Europa, pronte a diventare luoghi di rifugio e di accoglienza.

Con queste parole si apriva lo scorso 17 settembre 2015 la lettera diretta ai leaders europei a firma di Ada Colau, primo cittadino di Barcelona, e dei colleghi sindaci Anne Hidalgo, di Parigi, Spyros Galinos, dell’isola di Lesbos e Giusi Nicolini di Lampedusa. Una chiamata dal basso a sostegno della cooperazione tra gli Stati, l’Unione Europea e le istituzioni internazionali, al fine di garantire la piena applicazione del diritto umano all’asilo per i rifugiati. Non un atto di carità ma di umanità, di dignità, di responsabilità verso noi stessi e gli altri, per non rimanere indifferenti di fronte alla morte che ogni giorno investe le nostre spiagge, per non lasciare sole le migliaia di famiglie in fuga dalla guerra che oggi affollano i nostri porti, le nostre stazioni e le strade, in attesa di una risposta umanitaria europea che ancora, colpevolmente, tarda ad arrivare.

Viviamo in un secolo che con ogni probabilità sarà ricordato come il tempo degli sfollati. Ci troviamo ad affrontare la più grande crisi di rifugiati dalla fine della seconda guerra mondiale, che rischia di trasformarsi in una crisi di civiltà e di valori fondanti delle nostre democrazie, proprio a causa del nostro stesso immobilismo. È proprio a partire da questa condizione di inerzia internazionale  che si configura il pianoBarcellona ​​città rifugio”, come risposta alla crisi umanitaria e alla mancanza di unità di visione e d’intenti dimostrata fino a questo punto dai singoli Stati europei al tavolo dell’Unione.

L’obiettivo è ambizioso e prevede la creazione di un modello sinergico di accoglienza e di assistenza cittadina, per effetto di una strategia comune multi livello ad opera di istituzioni locali e di una rete di organizzazioni umanitarie e di volontariato attive sul territorio, che tenga conto, insieme, delle esigenze e dei diritti dei rifugiati e della popolazione della città. L’idea è quella di progettare soluzioni replicabili in grado di governare il fenomeno, tenendo conto sia delle circostanze di assoluta criticità attuali, sia di quelle di lungo periodo, in un’ottica di lavoro che sia capace di guardare sempre al futuro.

Ciò significa rafforzare e ottimizzare le risposte esistenti, come l’attuale servizio di assistenza per gli immigrati e i rifugiati (SAUER), ma anche sperimentandone di nuove. Una delle sfide sarà creare occasioni di accoglienza anche per le singole famiglie all’interno delle proprie case, oltre ad ampliare il piano cittadino di alloggi popolari e il social housing. Indispensabile sarà anche l’opera di coinvolgimento della cittadinanza, attraverso uno spazio civico in cui saranno coordinate le attività di volontariato, e d’informazione, al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica in maniera trasparente e regolare. Per poter rendere operativo tale piano, per prima cosa si è reso necessario un aumento dei fondi per la prima accoglienza e per i servizi di assistenza legale, sostegno psicologico, mediazione interculturale e per i percorsi di autonomia.

Oltre alle attività prettamente “interne” il modello prevede anche un’azione esterna che mira ad incoraggiare il coinvolgimento degli attori esteri, per l’attuazione di programmi di sostegno reciproco tra città europee, sia su base city-to-city (con la possibilità di organizzare anche piani di ricollocazioni dirette tra città), sia attraverso le reti internazionali, anche con modalità d’incremento dei sussidi diretti alle ONG che operano nei luoghi di partenza, di transito e di destinazione. Proprio grazie all’azione “esterna” si è arrivati agli accordi di collaborazione tra la città di Barcelona e le isole di Lesbo e Lampedusa, siglati lo scorso 16 marzo, dopo che il coordinatore del piano “Barcellona ​​città rifugio”, Ignasi Calbó aveva visitato le due isole offrendo l’aiuto della città catalana.

Sulla base di tali intese il Comune di Barcelona ha predisposto un contributo straordinario di 300.000 euro da destinare agli enti e alle ong che operano sul campo, con la possibilità di offrire aiuti più tecnici e di sostegno logistico qualora le municipalità delle due isole dovessero farne specifica richiesta (è il caso dello smaltimento dei rifiuti di gomma, soprattutto giubbotti di salvataggio, che nell’isola di Lesbo stanno avendo un forte impatto ambientale). Come parte del pacchetto di aiuti è emersa anche l’opportunità di avviare programmi di promozione economica che aiutino i due Comuni a rilanciare la loro economia interna. Per effetto di questi accordi, la città catalana ha anche avviato una serie di colloqui per permettere alle due isole di entrare in contatto anche con altri attori del capoluogo spagnolo che si sono offerti di dare il proprio aiuto, come il Barcelona Futbol Club, l’Area Metropolitana e il Consiglio Provinciale.

Al fine di rafforzare la capacità di azione umanitaria sul campo e migliorare le condizioni di vita dei richiedenti asilo anche lungo le rotte di transito, la città di Barcelona ha stanziato fondi straordinari anche a favore  delle organizzazioni che stanno assistendo i rifugiati nel cuore dell’Europa. Il prossimo passo sarà creare opportunità di connessione internazionale tre le città europee e le reti di soggetti che operano al suo intero. A questo proposito, il 17 marzo, il sindaco Ada Colau e il suo collega ateniese, Giorgos Kaminis, hanno annunciato pubblicamente la volontà di lanciare un importante piano pilota di ricollocazione di 100 rifugiati da Atene a Barcelona. Si tratta di un programma dal grande valore simbolico che dopo gli accordi con Lesbo e Lampedusa vuole dare una risposta concreta alle difficoltà incontrate dai governi nel organizzare le ricollocazioni nazionali pattuite con l’Unione europea alla fine della scorsa estate.

Colau e Kaminis sono d’accordo nel sostenere come tale piano, se funzionasse, potrebbe essere allargato ad un numero maggiore di città europee, aprendo a nuove forme di collaborazione dal basso e di solidarietà internazionale che potrebbero rivelarsi la chiave per uscire dall’attuale empasse politica. A questo punto non resta che attendere il parere finale del premier spagnolo, Mariano Rajoy,  che dovrà rispondere alla richiesta formale inviata da Ada Colau, che chiede al governo nazionale l’autorizzazione a procedere.

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Angelo Motola
Angelo Motola

Analista delle politiche d’immigrazione, dal 2012 collabora come ricercatore con l’Istituto di Ricerche Internazionale Archivio Disarmo (IRIAD)

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